“Subbuteo: Sport, sostegno umanitario
e benessere in Abruzzo”
La dipendenza da videogiochi nei bambini e negli adolescenti
Forse più che di dipendenza da videogiochi, bisognerebbe parlare di abuso di videogiochi. In psichiatria la parola dipendenza ha un significato clinico ben preciso, e non tutti concordano sull'opportunità di considerare dipendenza, in senso psichiatrico, il bisogno ossessivo di videogiocare. Non è ancora esclusa del tutto la possibilità che in futuro questo comportamento venga ufficialmente riconosciuto come disturbo psichiatrico. In questo momento sembra però prevalere l'opinione che non esistano prove scientifiche sufficienti ad includere questo comportamento nella nosologia psichiatrica ufficiale. Anche tra quelli favorevoli a considerarlo un disturbo, esistono opinioni discordanti circa la sua natura. Secondo alcuni si tratterebbe di un disturbo a sé, secondo altri è un sintomo di altri disturbi (depressivi, d'ansia, di personalità), secondo altri ancora andrebbe invece considerato come manifestazione di un più ampio disturbo di dipendenza dal computer, che comprenderebbe anche la dipendenza da Internet. Se non si tratta di disturbo psichiatrico, meglio. Molti bambini e adolescenti mostrano però ugualmente un bisogno ossessivo di videogiocare, che interferisce sulle altre attività e sul funzionamento generale della persona. Sembra che i videogiochi esercitino reazioni contrastanti. Alcune persone provano verso di essi un'incontrollabile repulsione. Altre se ne sentono irresistibilmente attratte. Su quelle che ne sono attratte, giocare non solo non soddisfa il bisogno, ma sembra addirittura che lo faccia crescere ancora di più. Purtroppo sembra che tra i minori prevalgano quelli che si sentono irresistibilmente attratti dai videogiochi. Il videogioco è un'attività che allontana dalle preoccupazioni o dalle frustrazioni quotidiane, crea emozioni induce uno stato modificato di coscienza, come quello della trance ipnotica, fa stare bene. Dopo un po' senza questo stato di benessere si sta male (dipendenza), ma per ricrearlo occorrono dosi sempre maggiori (assuefazione) di videogioco. Vuoi mettere l' ebbrezza di toccare, manipolare e accudire - lucidandone la base e incollandone alla stessa le gambe spezzate dall' ennesima caduta dal tavolo - i tuoi giocatori in miniatura, muovendoli in campo secondo gli schemi partoriti dalla tua fervida fantasia di allenatore, con le surreali acrobazie dei campioni riprodotti al computer? Della soddisfazione del gol su punizione con colpo sotto a scavalcare la barriera, del tocco a effetto, il cosiddetto "girello", con la miniatura che aggira quella avversaria e va a prendere la palla nell' angolo nascosto del campo? E del tifo riprodotto con la gola, delle recinzioni intorno al campo fatte a mano con i colori della squadra del cuore... Sì, altro che PlayStation. Il Subbuteo è emozione, abilità, adrenalina, manualità. È il gioco di tre generazioni di adolescenti e di quelli che oggi hanno 40 anni e provano fitte di nostalgia quando ripensano a quella curiosa fusione tra football, biliardo e scacchi che è il calcio a punta di dito. Nell’era dei videogiochi e dei virtual games via Internet, infatti, è tornato a spopolare in città il Subbuteo. Anche tanti giovanissimi abruzzesi stanno riscoprendo il piacere di colorare piccole squadre in miniatura per sfidarsi a suon di falli, possesso di palla e punizioni come nel gioco vero. Anche se a dire il vero forse non lo hanno mai abbandonato! O tutti gli altri bambini, passata l’infanzia, hanno dimenticato tutto, o, con ogni probabilità, non hanno mai approfondito niente di queste mezze lune plastificate, dei loro valzer calcistici, delle mille accuratezze che contraddistinguono gli sport di nicchia. Qui c’è chi l’indice lo allena sul serio, e non per inviare un sms.
EDUCHIAMO AL CALCIO DA TAVOLO:
movimenti e presentazione del gioco
Il ruolo dell’educatore non è quello di istruire un giocatore, ma al contrario, è quello di permettergli di capire ciò che fa. Il ragazzo, all’inizio inventa, poi capisce. Egli è capace di spiegare “a posteriori”. Il suo comportamento, la sua risposta motoria. Non esistono alunni che dal punto di vista motorio, “non sappiano nulla”. Il ragazzo ha in sé delle azioni precostituite che sviluppa allorché è messo in presenza delle esigenze di una attività. INSEGNARGLI IL GESTO NON SEMBRA NECESSARIO, poiché in alcune circostanze mostra di sapere certi gesti E’ COMPITO DELL’EDUCATORE, dunque, PROPORRE DELLE SITUAZIONI PEDAGOGICHE DI GIOCO A CUI IL RAGAZZO DARA’ UNA PROPRIA RISPOSTA, e non quella che si vorrebbe; il ragazzo non è in grado di comprenderla dal momento che dovrà prima arrivare a confrontare ciò che conosce con le esigenze delle nuove situazioni proposte. Se, comunque il principiante non dovesse trovare le giuste risposte, devono essere proposte altre varianti (più semplici, meno complesse della situazione). Lo scopo che si vuole raggiungere deve essere sempre conosciuto, sì da motivare alla stessa attività, ed in modo da costringere il principiante a chiedersi il perché della riuscita o meno. In questa fase di avviamento le forme dell’apprendimento che prediligiamo sono, quindi: PER PROVE ED ERRORI, PER SCHEMI (e non per ripetizione continua degli stessi esercizi, senza errori), ed anche PER COMPRENSIONE. In linea generale, lo sviluppo motorio del bambino, dalle solite azioni isolate che confrontate con situazioni diverse, si coordinano, si velocizzano, si differenziano, si generalizzano. Questo sviluppo conferisce al ragazzo delle nuove capacità ed abilità. Si arriva così ad una costruzione del saper fare (APPRENDIMENTO).